Transfer pricing sui servizi nel gruppo il test-utilità

Di Enrico Holzmiller

In ambito Transfer Pricing, un tema particolarmente delicato è quello riferito ai cosiddetti servizi a basso valore aggiunto forniti al livello intercompany.

Tale concetto è stato introdotto per la prima volta nel Joint Transfer Pricing Forum del 2010, e successivamente disciplinato nelle Linee Guida Ocse del 2017. L’anno successivo, l’articolo 7 del DM del 14.5.2018 lo ha definito a livello nazionale, puntualizzando sia la definizione degli stessi, sia un “safe harbour”, ovvero un markup forfettizzato (fissato al 5%) al di sopra del quale detti servizi sono da considerarsi valorizzati a prezzi di mercato.

Nonostante la disciplina sia ormai in vigore da svariati anni, sia a livello Ocse che nazionale, l’individuazione dei servizi intercompany e la loro esclusione dall’ arm’s length principle sono ancora oggetto di discussione. Non è un caso che anche le più recenti Linee Guida Ocse del 2022, al Chapter VIII – intra group services dedichino un intero paragrafo all’individuazione delle “Principali problematiche” riferiti a tale fattispecie (B – Main Issues).

A livello giurisprudenziale, tale fattispecie è stata recentemente affrontata dalla CgT di primo grado di Milano, con la sentenza 3537/2024 (Presidente Centurelli, Relatore Nicoletti).

La vicenda oggetto di sentenza trae origine da una verifica fiscale nella quale i funzionari avevano contestato non tanto il mark-up applicato (5%, coerentemente con i dettami del citato DM 14.5.2018) quanto il beneficio tratto dalla branch italiana su servizi di Management, fatturati dalla casa madre austriaca, ritenendo gli stessi di esclusivo interesse di quest’ultima e riprendendo a tassazione, conseguentemente, i costi dei servizi in questione.

Al fine di identificare la deducibilità o meno dei costi per servizi intercompany, i Giudici hanno preso innanzitutto in esame le definizioni contenute nelle Linee Guida Ocse versione 2017 (ma gli stessi concetti sono sostanzialmente replicati anche nella versione del 2022) partendo dal paragrafo 7.9 il quale afferma che, salvo casi particolari, l’attività infragruppo può essere svolta (ndr: e considerata come tale ai fini Ocse) solo laddove le entità del gruppo necessitino di tali servizi, e sarebbero disposte a pagare gli stessi se fossero state indipendenti. In casi contrari, tali attività non sono da considerarsi servizi intercompany e non dovrebbero giustificare un ricarico, in termini di fees, in capo alle suddette entità.

Viene quindi richiamato il paragrafo 7.6, il quale punta l’attenzione sulla necessità di considerare se l’attività dei servizi intercompany abbia contribuito o meno a conferire alle altre entità del gruppo un vantaggio economico o commerciale inteso ad accrescere o mantenere la propria posizione sul mercato. Ciò può essere determinato verificando se, in circostanze comparabili, un’impresa indipendente sarebbe stata disposta a pagare un soggetto terzo per analoghi servizi, o se quest’ultima avrebbe svolto al proprio interno la stessa attività.

Infine, i Giudici hanno focalizzato l’attenzione sul paragrafo 7.11, secondo il quale, salvo eccezioni, non devono considerarsi servizi infragruppo le attività intraprese da un’entità del gruppo che duplicano semplicemente un servizio che un’altra entità del gruppo svolge già per se stessa o che le è fornito da un terzo.

Sulla base di tali considerazioni, i Giudici hanno ritenuto corretta la posizione della AdE, non avendo branch italiana provato il vantaggio conseguito dai servizi di Management addebitati.

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Autore

Dott. Enrico Holzmiller
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