Fiscalità nazionale

LA SUPERVISIONE DALL’ITALIA NON FA STABILE ORGANIZZAZIONE

Di Enrico Holzmiller

L’applicazione del concetto di residenza fiscale va valutata attentamente (anche con l’ausilio delle convenzioni internazionali) laddove vi siano situazioni “ibride”, tipicamente nei casi di società straniere la cui attività risulti sviluppata in parte nel paese straniero in cui ha sede legale, in parte in Italia.

In tale ambito pare interessante la Sentenza n. 2439/2023 emessa dalla Corte di Giustizia della Lombardia (Presidente e Relatore: Colavolpe) la quale, ancorchè si basi sull’art.73 tuir nella versione antecedente al recente intervento del Decreto Internazionalizzazione, fornisce spunti utili anche alla luce dell’attuale dettato normativo.

Il caso trattato dai giudici si riferisce ad una società italiana attiva nel settore della macellazione di bestiame e della lavorazione delle carni, controllante al 100% una società francese, con analogo business.

A seguito di una verifica fiscale sulla società italiana, la partecipata francese, inizialmente definita esterovestita dalla GdF, è stata successivamente “derubricata” a stabile organizzazione francese della controllante italiana, sulla base dei seguenti presupposti:

  • La società italiana
    • nomina i vertici della francese e definisce le linee strategiche e di sviluppo di quest’ultima;
    • ha locato propri immobili in Francia alla controllata straniera, per consentire a quest’ultima lo svolgimento dell’attività;
    • vende alla consociata francese foraggi e bovini
  • l’amministratore della società italiana è fratello del legale rappresentante della società francese, ed entrambi sono residenti in Italia
  • sussisterebbe – secondo l’Agenzia delle Entrate – un controllo capillare della società italiana su quella francese.

A fronte di tali presunzioni, la società ricorrente eccepisce che la società francese sia in grado di realizzare le normali scelte di gestione ordinaria e quotidiana della sua attività (attività “day by day”), e che la scelta di intraprendere un’attività in Francia risponda ad esigenze della casa madre di carattere commerciale e certamente non fiscali.

Al fine di supportare la propria tesi, la ricorrente rileva quanto segue:

  • i bilanci della società francese sono stati approvati presso la sede d’oltralpe;
  • l’amministratore unico, con esperienza pluriennale nel settore dei bovini, segue la fase di acquisto del bestiame partecipando settimanalmente (come dimostrato da pedaggi autostradali, ristoranti ed alberghi ecc) alle aste di bovini che si svolgono in Francia;
  • i bilanci sono oggetto di controllo contabile da parte di una società di revisione locale;
  • il cost sharing agreement, stipulato tra le due società, esclude i servizi di elaborazione dati, contabili ed amministrativi;
  • l’allevamento del bestiame viene svolto in piena autonomia, presso pascoli condotti in affitto in Francia, così come l’attività di commercializzazione dei bovini.

Alla luce della posizione delle parti in causa, i giudici Milanesi ritengono che la società italiana abbia provveduto ad espletare una mera attività di direzione e coordinamento (ex art. 2497 cc) che tuttavia non può bastare ad identificare una residenza fiscale italiana a capo della società francese.

In definitiva, concludono i giudici, il fatto che su alcune fasi di gestione dell’attività della società francese vi sia stata una supervisione/monitoraggio da parte della controllante italiana, sulla quale si accentrano sia funzioni di supporto che di business di gruppo, non può far venire meno il requisito dell’indipendenza gestionale ed operativa della partecipata straniera.

Restiamo, come sempre, a Vostra disposizione per qualsiasi chiarimento e cogliamo l’occasione per porgere i nostri più cordiali saluti.

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Cordialmente

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Autore

Dott. Enrico Holzmiller
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